Green Economy
quando il cowboy scende dal treno a vapore e sale sulla bicicletta:
il nostro clip per promuovere la Greenway in Monferrato
Le economie tendono a comportarsi come
se le risorse naturali fossero illimitate e perciò prive di valore
economico, proprio come il cowboy che vive con la sensazione di avere
di fronte a sé territori sterminati e una frontiera illimitata.
In questi ultimi anni questa convinzione è stata messo in crisi da vari fattori legati alle recenti crisi ambientali ed economiche che stanno spingendo, seppure a fatica, i paesi occidentali a mettere in discussione dogmi finora considerati come sacri, come il riferimento al PIL come unico indicatore positivo di crescita del benessere di un Paese.
Nei paesi emergenti, tuttavia, la situazione appare più preoccupante. In cambio di un tasso di crescita economica più veloce i paesi in via di sviluppo accettano di sacrificare parte del loro patrimonio ambientale, tanto che nel 2020 produrranno i due quinti di tutto l’inquinamento del pianeta, senza che possano essere condannati senza appello: come disse il delegato della Malesia in un incontro internazionale: “non accettiamo lezioni su come conservare le nostre foreste da chi ha distrutto le proprie”.
Come invertire questa tendenza?
Un tempo gli economisti pensavano al processo economico come ad un processo aperto, con un inizio e una fine: all’inizio vi era il prelievo di risorse dall’ambiente (materie prime e energia), poi trasformate con l’aggiunta di lavoro umano e di capitale, davano luogo a un prodotto pronto per il consumo, seguendo il modello che l’economista Kenneth Boulding ha descritto proprio riferendosi alla metafora del cowboy:
“Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta; il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e di rapina che è caratteristico delle società aperte. L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all’economia dell’astronauta: la Terra va considerata una navicella spaziale, nella quale la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite, per quanto riguarda sia la possibilità di uso, sia la capacità di accogliere i rifiuti, e nella quale perciò bisogna
comportarsi come in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia”.
Nella storia degli Stati Uniti, il cowboy spinse e gli animali nei pascoli e poi nei macelli e i pascoli apparivano senza fine; se i pascoli più vicini si impoverivano, ci si poteva spingere verso l’Ovest, il Far West, dove acque e pascoli e boschi permettevano la continuazione di crescenti attività economiche, a scapito dei nativi (i “pellerossa”) dipendenti per il loro sostentamento dalle popolazioni dei bisonti che vivevano in libertà. Le grandi terre libere e senza padrone, beni comuni degli abitanti, erano state frazionate e assegnate
a proprietari che potevano sfruttarle a proprio piacimento. A mano a mano che i terreni diventavano meno fertili per l’eccessivo sfruttamento, c’era pur sempre un “altro Ovest”, fino a quando i pionieri e i cowboys si sono trovati davanti alle Montagne Rocciose. Ma anche quelle potevano essere scavalcate verso le fertili terre della California; impoverite anche quelle, il cowboy si sarebbe trovato davanti l’oceano in cui non ci sarebbe stato nessun pascolo di cui appropriarsi e nessun animale da vendere e macellare.
In questa storia la ferrovia e il treno assumono un ruolo fondamentale dal punto di vista non solo economico ma anche simbolico.
La corsa vero l’Ovest del cowboy è iniziata in sella al cavallo, ma la sua reale espansione è avvenuta grazie alla costruzione delle ferrovie che hanno iniziato a tagliare il territorio esplorato dai pionieri, accorciando le distanze, sconfiggendo lo spazio e annientando il tempo.
La ferrovia è la vittoria della macchina, dei cavalli a vapore, sulla natura, la forza meccanica che domina lo spazio, fagocita l’ambiente. La ferrovia, con il fumo che sbuffa dalle sue macchine, è anche il simbolo della seconda rivoluzione industriale che cambia irreversibilmente il rapporto tra uomo e natura, segnando per sempre il destino dell’Occidente e della sua economia che non a caso assume come metafora della propria sicurezza e del proprio ottimismo la locomotiva: “locomotiva dello sviluppo” refrain di ogni economista.
Ma proprio l’ultima di questi sue crisi strutturali dimostra quanto nè lo spazio nè il tempo che dovevano essere l’oggetto del suo dominio, non siano illimitati anzi, proprio come il carbone che alimentava le sue macchine e tutte le risorse che alimentavano le sue speranze, si stanno inevitabilmente esaurendo.
Per questo motivo il modello del cowboy deve essere necessariamente sostituito da un altro tipo.
Occorre partire dalla presa di coscienza che, in un sistema chiuso come quello del Pianeta Terra, in cui nulla si crea e nulla si distrugge, l’uomo non fa altro che trasformare le risorse e che tutto quello che non viene riciclato, torna in natura sotto forma di rifiuto. Si calcola che il peso totale delle risorse prelevate in natura corrisponde al peso totale dei rifiuti che in natura vi devono ritornare. E per questo occorre pensare ad un sistema che prenda come modello quello dell’astronave.
L’astronave rappresenta un pianeta in cui non esistono serbatoi illimitati, spazi infiniti, in cui non sono possibili approvvigionamenti dall’esterno, e in cui l’uomo deve trovare un proprio posto insieme a tutte le altre componenti necessarie alla vita.
L’economista americano Kenneth Boulding è stato il primo a considerare la Terra come un sistema chiuso: solo dalla Terra, proprio come avviene per gli astronauti in una navicella spaziale - Spaceship Earth, appunto - i terrestri possono trarre le risorse necessarie, e solo dentro la Terra possono rigettare le scorie e i rifiuti. Qualsiasi ragionamento, come il mito dell’espansione dei consumi e del prodotto interno lordo dei singoli paesi e mondiale, può portare soltanto ad una crisi più o meno vicina nel tempo, poichè la navicella spaziale Terra è sempre quella, con le sue terre e i suoi oceani; anzi è raddoppiato in quarant’anni il numero degli “astronauti”, ormai sette miliardi, che la occupano, tutti impegnati a portare via alimenti, alberi, minerali, fonti di energia, e a mettere dovunque i rifiuti dei loro consumi, tutti sperando che succeda qualcosa per aiutarci nel nostro comportamento da cowboy. Purtroppo
anche nel caso della Terra nessuno ci può portare qualcosa da fuori né possiamo gettare il nostro pattume negli spazi interplanetari.
Il modello economico del cowboy, infatti, si è rivelato oggi altamente contradditorio soprattutto per il tipo di sviluppo economico produttivo degli ultimi secoli. Uno sviluppo economico che ha tanti colori eccetto uno: il verde, il green.
Per secoli e secoli, infatti, a grandi linee ciò che l’uomo prelevava dalla natura e ciò che vi faceva ritornare sotto forma di rifiuto, era comunque “natura”, o, usando un termine oggi di moda “green”.
La natura nella complessità delle sue forme non conosce in realtà il rifiuto, o conosce il rifiuto relativo. Ciò che è rifiuto per una specie è risorsa da trasformare per un altra fino alla catena più semplice dei microorganismi, alghe e batteri che contribuiscono a decomporre e a ritrasformare in risorsa utile le parti più piccole di ciò che viene scartato dalle specie superiori.
Ad un certo punto però, con la seconda rivoluzione industriale e con l’invenzione dei prodotti di sintesi, l’umanità ha inventato un nuovo tipo di rifiuto: quello che la natura non può in modo immediato e in tempi brevi, riutilizzare come risorsa utile. Ogni nostra attività economica, dunque, finora consiste nel trarre dei beni dalla natura, nel trasformarli in oggetti, in beni materiali commerciali, formando scorie e rifiuti che finiscono nell’ambiente circostante, e che, a differenza di quanto avviene nei cicli ecologici, in cui (quasi) tutte le scorie sono rimesse nei cicli della vita, nei cicli economici la natura resta impoverita da quanto gli umani portano via dal terreno e le scorie si accumulano come crescenti corpi estranei inquinanti nell’ambiente.
Il modello della nuova economia, definibile come “green economy” deve dunque ripartire da qui: dalla sostituzione del modello depredatorio del cowboy con quello dell’astronauta.
E nonostante le perplessità di chi vi si oppone è anche la via più pratica e sensata.
Green economy dunque come il risultato del legame tra economia e ecologia che tornano a stringersi attorno alla loro radice comune - oikos casa - e al loro compito, la corretta gestione –amministrazione e studio della “casa”, quell’astronave su cui viaggiamo che è il pianeta Terra.
Anche l’etimologia di “ambiente” ci suggerisce l’inevitabilità di questa direzione: amb-eo, andare attorno, muoversi nella propria area circostante. E se per secoli questo ambiente come spazio di movimento era il villaggio, ora è diventato il villaggio globale, l’intero cioè nostro Pianeta. Ed è di questo ambiente, dai confini terrestri, che si deve occupare la green economy.
E per noi il simbolo di questo passaggio ad un sistema economico “green” è la bicicletta, come mezzo su cui torna a muoversi il cowboy, una volta abbandonata la ferrovia sulla quale si è arrestata la locomotiva del suo sviluppo.
Trasformare una ferrovia dismessa in pista ciclabile è green economy, è agire da “astronauti”: è recuperare, riparare, riusare, ma anche usare in modo intelligente il territorio e il suolo, usare risorse rinnovabili, diffondere conoscenze e cultura, ma soprattutto è cercare di pianificare il rilancio dell’economia di un’area non solo evitando di depredare il territorio ma facendo del rispetto e del buon uso del territorio la fonte del rilancio della propria economia.
Perchè la green economy, come l’abbiamo intesa, si prende cura del territorio e dell’ambiente, recupera, riusa e ripara ma soprattutto cerca di trovare le strategie affinchè possa, con un uso intelligente, essere fonte di valore anche economico.
Nel nostro clip la bicicletta torna ad appropriarsi dello spazio abbandonato, ridotto a rudere, a rifiuto, a scarto ingombrante, irruzione del brutto nel paesaggio, ridandogli non solo bellezza estetica, vitalità, uso ma anche valore economico.
Il cowboy ha lasciato lì come un rifiuto la ferrovia, con tutte le sue strutture costate fatica e denaro, perchè è altrove che deve volgere il suo sguardo finalizzato alla crescita del suo unico valore, il PIL, spostando la forza dei suo apparati e l’arroganza con cui usa e sperpera risorse e beni comuni, un altrove fatto di altri spazi e altri luoghi su cui far correre veloce, sempre più veloce i suoi cavalli a motore.
Ecco questo è il senso del videoclip immaginato come slogan visivo del nostro progetto:
la bicicletta che ridona vita allo spazio delle ferrovia abbandonata, la bici che ridisegna quello spazio ferito dai buldozer, che come il cowboy distrugge tutto quello che incontra: la bicicletta con il suo spirito di farfalla che volando si arricchisce dando vita, fertilità, colore e bellezza all’ambiente del tracciato del suo volo.
In questi ultimi anni questa convinzione è stata messo in crisi da vari fattori legati alle recenti crisi ambientali ed economiche che stanno spingendo, seppure a fatica, i paesi occidentali a mettere in discussione dogmi finora considerati come sacri, come il riferimento al PIL come unico indicatore positivo di crescita del benessere di un Paese.
Nei paesi emergenti, tuttavia, la situazione appare più preoccupante. In cambio di un tasso di crescita economica più veloce i paesi in via di sviluppo accettano di sacrificare parte del loro patrimonio ambientale, tanto che nel 2020 produrranno i due quinti di tutto l’inquinamento del pianeta, senza che possano essere condannati senza appello: come disse il delegato della Malesia in un incontro internazionale: “non accettiamo lezioni su come conservare le nostre foreste da chi ha distrutto le proprie”.
Come invertire questa tendenza?
Un tempo gli economisti pensavano al processo economico come ad un processo aperto, con un inizio e una fine: all’inizio vi era il prelievo di risorse dall’ambiente (materie prime e energia), poi trasformate con l’aggiunta di lavoro umano e di capitale, davano luogo a un prodotto pronto per il consumo, seguendo il modello che l’economista Kenneth Boulding ha descritto proprio riferendosi alla metafora del cowboy:
“Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta; il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e di rapina che è caratteristico delle società aperte. L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all’economia dell’astronauta: la Terra va considerata una navicella spaziale, nella quale la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite, per quanto riguarda sia la possibilità di uso, sia la capacità di accogliere i rifiuti, e nella quale perciò bisogna
comportarsi come in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia”.
Nella storia degli Stati Uniti, il cowboy spinse e gli animali nei pascoli e poi nei macelli e i pascoli apparivano senza fine; se i pascoli più vicini si impoverivano, ci si poteva spingere verso l’Ovest, il Far West, dove acque e pascoli e boschi permettevano la continuazione di crescenti attività economiche, a scapito dei nativi (i “pellerossa”) dipendenti per il loro sostentamento dalle popolazioni dei bisonti che vivevano in libertà. Le grandi terre libere e senza padrone, beni comuni degli abitanti, erano state frazionate e assegnate
a proprietari che potevano sfruttarle a proprio piacimento. A mano a mano che i terreni diventavano meno fertili per l’eccessivo sfruttamento, c’era pur sempre un “altro Ovest”, fino a quando i pionieri e i cowboys si sono trovati davanti alle Montagne Rocciose. Ma anche quelle potevano essere scavalcate verso le fertili terre della California; impoverite anche quelle, il cowboy si sarebbe trovato davanti l’oceano in cui non ci sarebbe stato nessun pascolo di cui appropriarsi e nessun animale da vendere e macellare.
In questa storia la ferrovia e il treno assumono un ruolo fondamentale dal punto di vista non solo economico ma anche simbolico.
La corsa vero l’Ovest del cowboy è iniziata in sella al cavallo, ma la sua reale espansione è avvenuta grazie alla costruzione delle ferrovie che hanno iniziato a tagliare il territorio esplorato dai pionieri, accorciando le distanze, sconfiggendo lo spazio e annientando il tempo.
La ferrovia è la vittoria della macchina, dei cavalli a vapore, sulla natura, la forza meccanica che domina lo spazio, fagocita l’ambiente. La ferrovia, con il fumo che sbuffa dalle sue macchine, è anche il simbolo della seconda rivoluzione industriale che cambia irreversibilmente il rapporto tra uomo e natura, segnando per sempre il destino dell’Occidente e della sua economia che non a caso assume come metafora della propria sicurezza e del proprio ottimismo la locomotiva: “locomotiva dello sviluppo” refrain di ogni economista.
Ma proprio l’ultima di questi sue crisi strutturali dimostra quanto nè lo spazio nè il tempo che dovevano essere l’oggetto del suo dominio, non siano illimitati anzi, proprio come il carbone che alimentava le sue macchine e tutte le risorse che alimentavano le sue speranze, si stanno inevitabilmente esaurendo.
Per questo motivo il modello del cowboy deve essere necessariamente sostituito da un altro tipo.
Occorre partire dalla presa di coscienza che, in un sistema chiuso come quello del Pianeta Terra, in cui nulla si crea e nulla si distrugge, l’uomo non fa altro che trasformare le risorse e che tutto quello che non viene riciclato, torna in natura sotto forma di rifiuto. Si calcola che il peso totale delle risorse prelevate in natura corrisponde al peso totale dei rifiuti che in natura vi devono ritornare. E per questo occorre pensare ad un sistema che prenda come modello quello dell’astronave.
L’astronave rappresenta un pianeta in cui non esistono serbatoi illimitati, spazi infiniti, in cui non sono possibili approvvigionamenti dall’esterno, e in cui l’uomo deve trovare un proprio posto insieme a tutte le altre componenti necessarie alla vita.
L’economista americano Kenneth Boulding è stato il primo a considerare la Terra come un sistema chiuso: solo dalla Terra, proprio come avviene per gli astronauti in una navicella spaziale - Spaceship Earth, appunto - i terrestri possono trarre le risorse necessarie, e solo dentro la Terra possono rigettare le scorie e i rifiuti. Qualsiasi ragionamento, come il mito dell’espansione dei consumi e del prodotto interno lordo dei singoli paesi e mondiale, può portare soltanto ad una crisi più o meno vicina nel tempo, poichè la navicella spaziale Terra è sempre quella, con le sue terre e i suoi oceani; anzi è raddoppiato in quarant’anni il numero degli “astronauti”, ormai sette miliardi, che la occupano, tutti impegnati a portare via alimenti, alberi, minerali, fonti di energia, e a mettere dovunque i rifiuti dei loro consumi, tutti sperando che succeda qualcosa per aiutarci nel nostro comportamento da cowboy. Purtroppo
anche nel caso della Terra nessuno ci può portare qualcosa da fuori né possiamo gettare il nostro pattume negli spazi interplanetari.
Il modello economico del cowboy, infatti, si è rivelato oggi altamente contradditorio soprattutto per il tipo di sviluppo economico produttivo degli ultimi secoli. Uno sviluppo economico che ha tanti colori eccetto uno: il verde, il green.
Per secoli e secoli, infatti, a grandi linee ciò che l’uomo prelevava dalla natura e ciò che vi faceva ritornare sotto forma di rifiuto, era comunque “natura”, o, usando un termine oggi di moda “green”.
La natura nella complessità delle sue forme non conosce in realtà il rifiuto, o conosce il rifiuto relativo. Ciò che è rifiuto per una specie è risorsa da trasformare per un altra fino alla catena più semplice dei microorganismi, alghe e batteri che contribuiscono a decomporre e a ritrasformare in risorsa utile le parti più piccole di ciò che viene scartato dalle specie superiori.
Ad un certo punto però, con la seconda rivoluzione industriale e con l’invenzione dei prodotti di sintesi, l’umanità ha inventato un nuovo tipo di rifiuto: quello che la natura non può in modo immediato e in tempi brevi, riutilizzare come risorsa utile. Ogni nostra attività economica, dunque, finora consiste nel trarre dei beni dalla natura, nel trasformarli in oggetti, in beni materiali commerciali, formando scorie e rifiuti che finiscono nell’ambiente circostante, e che, a differenza di quanto avviene nei cicli ecologici, in cui (quasi) tutte le scorie sono rimesse nei cicli della vita, nei cicli economici la natura resta impoverita da quanto gli umani portano via dal terreno e le scorie si accumulano come crescenti corpi estranei inquinanti nell’ambiente.
Il modello della nuova economia, definibile come “green economy” deve dunque ripartire da qui: dalla sostituzione del modello depredatorio del cowboy con quello dell’astronauta.
E nonostante le perplessità di chi vi si oppone è anche la via più pratica e sensata.
Green economy dunque come il risultato del legame tra economia e ecologia che tornano a stringersi attorno alla loro radice comune - oikos casa - e al loro compito, la corretta gestione –amministrazione e studio della “casa”, quell’astronave su cui viaggiamo che è il pianeta Terra.
Anche l’etimologia di “ambiente” ci suggerisce l’inevitabilità di questa direzione: amb-eo, andare attorno, muoversi nella propria area circostante. E se per secoli questo ambiente come spazio di movimento era il villaggio, ora è diventato il villaggio globale, l’intero cioè nostro Pianeta. Ed è di questo ambiente, dai confini terrestri, che si deve occupare la green economy.
E per noi il simbolo di questo passaggio ad un sistema economico “green” è la bicicletta, come mezzo su cui torna a muoversi il cowboy, una volta abbandonata la ferrovia sulla quale si è arrestata la locomotiva del suo sviluppo.
Trasformare una ferrovia dismessa in pista ciclabile è green economy, è agire da “astronauti”: è recuperare, riparare, riusare, ma anche usare in modo intelligente il territorio e il suolo, usare risorse rinnovabili, diffondere conoscenze e cultura, ma soprattutto è cercare di pianificare il rilancio dell’economia di un’area non solo evitando di depredare il territorio ma facendo del rispetto e del buon uso del territorio la fonte del rilancio della propria economia.
Perchè la green economy, come l’abbiamo intesa, si prende cura del territorio e dell’ambiente, recupera, riusa e ripara ma soprattutto cerca di trovare le strategie affinchè possa, con un uso intelligente, essere fonte di valore anche economico.
Nel nostro clip la bicicletta torna ad appropriarsi dello spazio abbandonato, ridotto a rudere, a rifiuto, a scarto ingombrante, irruzione del brutto nel paesaggio, ridandogli non solo bellezza estetica, vitalità, uso ma anche valore economico.
Il cowboy ha lasciato lì come un rifiuto la ferrovia, con tutte le sue strutture costate fatica e denaro, perchè è altrove che deve volgere il suo sguardo finalizzato alla crescita del suo unico valore, il PIL, spostando la forza dei suo apparati e l’arroganza con cui usa e sperpera risorse e beni comuni, un altrove fatto di altri spazi e altri luoghi su cui far correre veloce, sempre più veloce i suoi cavalli a motore.
Ecco questo è il senso del videoclip immaginato come slogan visivo del nostro progetto:
la bicicletta che ridona vita allo spazio delle ferrovia abbandonata, la bici che ridisegna quello spazio ferito dai buldozer, che come il cowboy distrugge tutto quello che incontra: la bicicletta con il suo spirito di farfalla che volando si arricchisce dando vita, fertilità, colore e bellezza all’ambiente del tracciato del suo volo.