GREEN ECONOMY
Il concetto di Green Economy comprende diverse teorie socio-economiche mirate alla conversione della moderna economia a beneficio di pratiche eco-compatibili e conciliabili con cambiamenti climatici, limitatezza delle risorse e impellenza di una più equa e parsimoniosa fruizione delle stesse. In un ottica più ‘green’ e consapevole l’economia valorizzerebbe ambiti della vita umana che spesso è accusata di guastare, come, ad esempio, il rapporto della civiltà umana con l’ambiente circostante. Benché spesso (anche opportunisticamente) declamata e invocata, latitano ancora misure pragmatiche ispirate a questa dottrina economica, che non è incompatibile con quella ortodossa ma che propone una risemantizzazione di termini come ‘valore’ e ‘ricchezza’, requisiti dal comune linguaggio e adottati oggi squisitamente con un accento pecuniario. Della ‘crescita’ descritta da indici schizofrenici l’economia fa invece un dettame imprescindibile, che allarma se ristagna ma rincuora quando veleggia; essa è indiscutibilmente un parametro dell’andamento interno di una nazione, ma tace questioni e disagi non descritti da equazioni e percentili, come la sostenibilità e la precarietà di un sistema squilibrato e scialacquatore.
Così una possibile svolta ‘verde’ rappresenta un’alternativa alla deriva economica, sociale e ambientale: è possibile ovviare all’esaurimento dei giacimenti del pianeta (idrici, minerari etc.) e al depauperamento dello stesso avvalendosi di energia pulita e rinnovabile, promuovendo la salvaguardia dell’ecosistema, una mobilità sostenibile e un approvvigionamento misurato delle risorse, crescendo nuove generazioni informate e consapevoli che dalle loro abitudini dipende la sopravvivenza dei cittadini di domani. La ‘rivoluzione verde’ non prevede la dissoluzione e la riorganizzazione del sistema economico ma anzi un miglioramento dello stesso, tramite accorgimenti che ne allontanino il collasso e garantiscano ad esso maggior longevità. Tra le proposte del ‘Green New Deal’ c’è la ricerca di una maggior efficienza energetica, cioè il rapporto tra potenza ottenuta ed energia impiegata e la conseguente riduzione dello spreco; la strada verso la revisione dell’impatto ambientale di ogni singolo individuo è possibile nel solco dell’impiego di fonti energetiche rinnovabili, unica alternativa esaustiva a fronte della graduale dissipazione dei combustibili fossili, di una maggior sensibilizzazione riguardo allo smaltimento dei rifiuti e di una conversione ai mezzi di trasporto eco-compatibili.
Tra gli intellettuali che avallano queste tesi figurano anche molti economisti, a riprova di quanto non siano sproloqui catastrofici o eresie di incompetenti. Serge Latouche, ad esempio, suggerisce la riconcettualizzazione del termine economia e teorizza la ‘decrescita’, figlia di una sostituzione di paradigma con la crescita illimitata e incondizionata. La decrescita, tradotta anche con ‘acrescita’ non coincide con una regressione ad un’esistenza frugale e anacronistica ma con una presa di coscienza accompagnata da una scelta di vita eco-compatibile, una nuova frontiera della modernità piuttosto che un rifiuto di essa. Le istigazioni e input a perpetuare uno stile di vita iperconsumistico contrastano, secondo Latouche, con la necessità di decolonizzare l’immaginario occidentale dai miti tossici della modernità e rifondare l’economia sul riciclo, il riutilizzo e la rilocalizzazione dell’economia, troppo poco legata alle peculiarità territoriali.
Amartya Sen, economista indiano, ritiene che etica ed economia possano coniugarsi, e che l’attività economica debba risentire di determinati vincoli morali: verso l’ambiente in quanto spartito con altre specie, verso i futuri abitanti del pianeta e le risorse che dovrebbero loro spettare e verso coloro che più subiscono gli squilibri e le incongruenze del sistema globale. Il professore Andrea Segrè riflette invece sullo spreco, e su come parte dell’esosa mole di merci commercializzate finisca poi per essere accantonata sommergendoci di rifiuti che non sappiamo come e se smaltire. Risposte concrete alla società dello sperpero sono, secondo Segrè, il recupero e l’impiego di merce scartata e sprecata ma con ancora tante potenzialità. Sono innumerevoli le voci che si uniscono al coro dei fautori della rivoluzione ecologista, e, seppur tra divergenze e posizioni dissimili, sono concordi nella critica all’isteria egemone di un’economia che tende sempre più a polarizzare opulenza e miseria.
Il concetto di Green Economy comprende diverse teorie socio-economiche mirate alla conversione della moderna economia a beneficio di pratiche eco-compatibili e conciliabili con cambiamenti climatici, limitatezza delle risorse e impellenza di una più equa e parsimoniosa fruizione delle stesse. In un ottica più ‘green’ e consapevole l’economia valorizzerebbe ambiti della vita umana che spesso è accusata di guastare, come, ad esempio, il rapporto della civiltà umana con l’ambiente circostante. Benché spesso (anche opportunisticamente) declamata e invocata, latitano ancora misure pragmatiche ispirate a questa dottrina economica, che non è incompatibile con quella ortodossa ma che propone una risemantizzazione di termini come ‘valore’ e ‘ricchezza’, requisiti dal comune linguaggio e adottati oggi squisitamente con un accento pecuniario. Della ‘crescita’ descritta da indici schizofrenici l’economia fa invece un dettame imprescindibile, che allarma se ristagna ma rincuora quando veleggia; essa è indiscutibilmente un parametro dell’andamento interno di una nazione, ma tace questioni e disagi non descritti da equazioni e percentili, come la sostenibilità e la precarietà di un sistema squilibrato e scialacquatore.
Così una possibile svolta ‘verde’ rappresenta un’alternativa alla deriva economica, sociale e ambientale: è possibile ovviare all’esaurimento dei giacimenti del pianeta (idrici, minerari etc.) e al depauperamento dello stesso avvalendosi di energia pulita e rinnovabile, promuovendo la salvaguardia dell’ecosistema, una mobilità sostenibile e un approvvigionamento misurato delle risorse, crescendo nuove generazioni informate e consapevoli che dalle loro abitudini dipende la sopravvivenza dei cittadini di domani. La ‘rivoluzione verde’ non prevede la dissoluzione e la riorganizzazione del sistema economico ma anzi un miglioramento dello stesso, tramite accorgimenti che ne allontanino il collasso e garantiscano ad esso maggior longevità. Tra le proposte del ‘Green New Deal’ c’è la ricerca di una maggior efficienza energetica, cioè il rapporto tra potenza ottenuta ed energia impiegata e la conseguente riduzione dello spreco; la strada verso la revisione dell’impatto ambientale di ogni singolo individuo è possibile nel solco dell’impiego di fonti energetiche rinnovabili, unica alternativa esaustiva a fronte della graduale dissipazione dei combustibili fossili, di una maggior sensibilizzazione riguardo allo smaltimento dei rifiuti e di una conversione ai mezzi di trasporto eco-compatibili.
Tra gli intellettuali che avallano queste tesi figurano anche molti economisti, a riprova di quanto non siano sproloqui catastrofici o eresie di incompetenti. Serge Latouche, ad esempio, suggerisce la riconcettualizzazione del termine economia e teorizza la ‘decrescita’, figlia di una sostituzione di paradigma con la crescita illimitata e incondizionata. La decrescita, tradotta anche con ‘acrescita’ non coincide con una regressione ad un’esistenza frugale e anacronistica ma con una presa di coscienza accompagnata da una scelta di vita eco-compatibile, una nuova frontiera della modernità piuttosto che un rifiuto di essa. Le istigazioni e input a perpetuare uno stile di vita iperconsumistico contrastano, secondo Latouche, con la necessità di decolonizzare l’immaginario occidentale dai miti tossici della modernità e rifondare l’economia sul riciclo, il riutilizzo e la rilocalizzazione dell’economia, troppo poco legata alle peculiarità territoriali.
Amartya Sen, economista indiano, ritiene che etica ed economia possano coniugarsi, e che l’attività economica debba risentire di determinati vincoli morali: verso l’ambiente in quanto spartito con altre specie, verso i futuri abitanti del pianeta e le risorse che dovrebbero loro spettare e verso coloro che più subiscono gli squilibri e le incongruenze del sistema globale. Il professore Andrea Segrè riflette invece sullo spreco, e su come parte dell’esosa mole di merci commercializzate finisca poi per essere accantonata sommergendoci di rifiuti che non sappiamo come e se smaltire. Risposte concrete alla società dello sperpero sono, secondo Segrè, il recupero e l’impiego di merce scartata e sprecata ma con ancora tante potenzialità. Sono innumerevoli le voci che si uniscono al coro dei fautori della rivoluzione ecologista, e, seppur tra divergenze e posizioni dissimili, sono concordi nella critica all’isteria egemone di un’economia che tende sempre più a polarizzare opulenza e miseria.