Fare
la propria parte:
la
bicicletta come nuovo modello di sviluppo
La
parola “decrescita” nel vocabolario dell’economia e della
politica italiana è inutilizzabile: spaventa, terrorizza, minaccia.
Fa intravedere scenari di ritorno al medioevo con destini fatti di
uomini con zappe e vanghe in mano e donne in attesa a casa senza più
luce elettrica, cercando di scaldare i bambini con l’aiuto di un
bue e di un asinello.
In questo caso, la bicicletta è il sin troppo ovvio simbolo di chi propone di eliminare le auto dalla nostra civiltà e dalla nostra economia per far tornare tutti a camminare a piedi o a pedalare.
Che cosa indica in realtà il paradigma della decrescita?
La fine del modello della crescita illimitata su cui si basa il sistema di organizzazione economica e sociale di una parte minoritaria del pianeta – l’Occidente – in un’epoca relativa della storia (l’ultimo secolo, a grandi linee): crescita di produzione di beni, crescita di consumi, crescita di utilizzo di risorse, crescita di benessere.
La meta? Il benessere illimitato e senza limiti per tutti, che passa però attraverso un solo mezzo: la moltiplicazione dei profitti e quindi l’aumento della disponibilità di denaro, realizzato grazie alla continua produzione, vendita e consumo di beni industriali prodotti.
In sè è un modello auspicabile in quanto la meta che esso pone – il benessere illimitato per tutti – è di per sè desiderabile. Peccato che non tenga conto dei limiti.
Semplificando al massimo si potrebbe rappresentare il convincimento della crescita illimitata con un triangolo: il vertice è rappresentato dalla crescita illimitata di profitti e quindi di benessere, e alla base ci sono, da una parte, le risorse del pianeta da utilizzare per la produzione di beni e dall’altra i rifiuti che questa produzione e poi il consumo di questi beni generano.
Entrambi necessari: senza la disponibilità di risorse (materie prime, energia, lavoro umano, suolo, spazio e tempo) non si producono beni e quindi denaro, ma anche senza rifiuti si rischia di limitare la produzione di beni e di denaro, perchè senza il continuo consumo di beni verrebbe a mancare la continua corsa all’acquisto su cui si regge il sistema.
Quando fu messa a punto la produzione di lampadine elettriche, dapprima si brindò per la scoperta di un nuovo settore redditizio. Quando si scoprì, poi, che le prime lampadine prodotte duravano troppo a lungo per rendere la produzione redditizia, ci si preoccupò di escogitare una tecnologia che ne rendesse la vita media molto più breve.
Insomma è la stessa parola chiave del modello di sviluppo fondato sulla crescita illimitata – la parola “produttività” – a diventare oscura. “Aumentare la produttività”, “rilanciare la produttività”, “rendere più produttivo il paese” “rendere più produttivo il nostro sistema economico” rischiano di essere slogan politici non solo vuoti ma insensati dal momento che la produttività invocata, quella del profitto monetario , che risolverebbe la questione del benessere, non solo non tiene in considerazione ma è anche sempre più in contrasto con la produttività della Terra e delle sue risorse da cui la produttività monetaria dipende. Diventa infatti insensato invocare l’aumento della produttività quando essa significa al contempo diminuzione della produttività della Terra.
Pensare che il capitale economico possa sostituirsi al capitale naturale si è pertanto rivelato un errore che continuiamo a ripetere dal momento che, ogni volta che parliamo della crisi della nostra epoca, non teniamo mai conto che quel capitale naturale si sta esaurendo per tutti.
Le risorse tradizionali su cui si fonda il sistema produttivo della crescita economica occidentale sono, infatti, sempre più rare e la produzione di rifiuti diventa un’emergenza sia per quanto riguarda i rifiuti del sistema produttivo (CO2, inquinamento atmosferico, depauperimento dei suoli fertili, fonti fossili, progressiva limitazione della disponibilità delle falde acquifere, ecc.) sia i rifiuti intesi come scarti dei nostri consumi.
È inevitabile quindi ripensare il nostro sistema di vita – i nostri stili di vita – ripensando a livello individuale e a livello sociale e politico, il nostro uso delle risorse e la nostra produzione di rifiuti.
In questo caso, la bicicletta è il sin troppo ovvio simbolo di chi propone di eliminare le auto dalla nostra civiltà e dalla nostra economia per far tornare tutti a camminare a piedi o a pedalare.
Che cosa indica in realtà il paradigma della decrescita?
La fine del modello della crescita illimitata su cui si basa il sistema di organizzazione economica e sociale di una parte minoritaria del pianeta – l’Occidente – in un’epoca relativa della storia (l’ultimo secolo, a grandi linee): crescita di produzione di beni, crescita di consumi, crescita di utilizzo di risorse, crescita di benessere.
La meta? Il benessere illimitato e senza limiti per tutti, che passa però attraverso un solo mezzo: la moltiplicazione dei profitti e quindi l’aumento della disponibilità di denaro, realizzato grazie alla continua produzione, vendita e consumo di beni industriali prodotti.
In sè è un modello auspicabile in quanto la meta che esso pone – il benessere illimitato per tutti – è di per sè desiderabile. Peccato che non tenga conto dei limiti.
Semplificando al massimo si potrebbe rappresentare il convincimento della crescita illimitata con un triangolo: il vertice è rappresentato dalla crescita illimitata di profitti e quindi di benessere, e alla base ci sono, da una parte, le risorse del pianeta da utilizzare per la produzione di beni e dall’altra i rifiuti che questa produzione e poi il consumo di questi beni generano.
Entrambi necessari: senza la disponibilità di risorse (materie prime, energia, lavoro umano, suolo, spazio e tempo) non si producono beni e quindi denaro, ma anche senza rifiuti si rischia di limitare la produzione di beni e di denaro, perchè senza il continuo consumo di beni verrebbe a mancare la continua corsa all’acquisto su cui si regge il sistema.
Quando fu messa a punto la produzione di lampadine elettriche, dapprima si brindò per la scoperta di un nuovo settore redditizio. Quando si scoprì, poi, che le prime lampadine prodotte duravano troppo a lungo per rendere la produzione redditizia, ci si preoccupò di escogitare una tecnologia che ne rendesse la vita media molto più breve.
Insomma è la stessa parola chiave del modello di sviluppo fondato sulla crescita illimitata – la parola “produttività” – a diventare oscura. “Aumentare la produttività”, “rilanciare la produttività”, “rendere più produttivo il paese” “rendere più produttivo il nostro sistema economico” rischiano di essere slogan politici non solo vuoti ma insensati dal momento che la produttività invocata, quella del profitto monetario , che risolverebbe la questione del benessere, non solo non tiene in considerazione ma è anche sempre più in contrasto con la produttività della Terra e delle sue risorse da cui la produttività monetaria dipende. Diventa infatti insensato invocare l’aumento della produttività quando essa significa al contempo diminuzione della produttività della Terra.
Pensare che il capitale economico possa sostituirsi al capitale naturale si è pertanto rivelato un errore che continuiamo a ripetere dal momento che, ogni volta che parliamo della crisi della nostra epoca, non teniamo mai conto che quel capitale naturale si sta esaurendo per tutti.
Le risorse tradizionali su cui si fonda il sistema produttivo della crescita economica occidentale sono, infatti, sempre più rare e la produzione di rifiuti diventa un’emergenza sia per quanto riguarda i rifiuti del sistema produttivo (CO2, inquinamento atmosferico, depauperimento dei suoli fertili, fonti fossili, progressiva limitazione della disponibilità delle falde acquifere, ecc.) sia i rifiuti intesi come scarti dei nostri consumi.
È inevitabile quindi ripensare il nostro sistema di vita – i nostri stili di vita – ripensando a livello individuale e a livello sociale e politico, il nostro uso delle risorse e la nostra produzione di rifiuti.
Nuovo
modello di sviluppo e green economy
Per questo occorre un nuovo modello di sviluppo e la green economy entra in gioco non in quanto soluzione semplice per trovare il mezzo del rilancio della produttività monetaria ma soprattutto come soluzione complessa in grado di conciliare la produttività monetaria con la conservazione e la rigenerazione della produttività della Terra.
E per questo entra in gioco per noi la bicicletta in un senso positivo e complesso.
In questo modello lo zero ha un valore assolutamente negativo ed è utilizzato soltanto in chiave economica. Zero profitti significa fallimento, zero consumi significa stagnazione, zero uso di risorse e zero produzione di rifiuti significa cessazione di investimenti economici.
Ora sono proprio i due vertici alla base ad essere entrati in crisi trasformandosi in problemi fondamentali.
Lo zero da valore negativo deve inevitabilmente trasformarsi in valore positivo.
Il benessere crescente, la disponibilità di migliori condizioni di vita per tutti, la salute fisica e spirituale singolare e collettiva, passa attraverso questa strada: zero sprechi di energia e di risorse, zero produzione di rifiuti (nell’aria e nel suolo), zero inquinamento, zero depauperimento del suolo, ecc.
Fare dello zero un valore positivo nei nostri stili di vita, nei nostri sistemi di consumi, nelle nostre pratiche individuali e nei nostri comportamenti collettivi, ma anche delle politiche economiche e sociali di chi ci governa, diventa una priorità se vogliamo mantenere in equilibrio positivo il sistema delle condizioni di vita su cui si regge il nostro pianeta.
Per questo occorre un nuovo modello di sviluppo e la green economy entra in gioco non in quanto soluzione semplice per trovare il mezzo del rilancio della produttività monetaria ma soprattutto come soluzione complessa in grado di conciliare la produttività monetaria con la conservazione e la rigenerazione della produttività della Terra.
E per questo entra in gioco per noi la bicicletta in un senso positivo e complesso.
In questo modello lo zero ha un valore assolutamente negativo ed è utilizzato soltanto in chiave economica. Zero profitti significa fallimento, zero consumi significa stagnazione, zero uso di risorse e zero produzione di rifiuti significa cessazione di investimenti economici.
Ora sono proprio i due vertici alla base ad essere entrati in crisi trasformandosi in problemi fondamentali.
Lo zero da valore negativo deve inevitabilmente trasformarsi in valore positivo.
Il benessere crescente, la disponibilità di migliori condizioni di vita per tutti, la salute fisica e spirituale singolare e collettiva, passa attraverso questa strada: zero sprechi di energia e di risorse, zero produzione di rifiuti (nell’aria e nel suolo), zero inquinamento, zero depauperimento del suolo, ecc.
Fare dello zero un valore positivo nei nostri stili di vita, nei nostri sistemi di consumi, nelle nostre pratiche individuali e nei nostri comportamenti collettivi, ma anche delle politiche economiche e sociali di chi ci governa, diventa una priorità se vogliamo mantenere in equilibrio positivo il sistema delle condizioni di vita su cui si regge il nostro pianeta.
Per questo
occorre un nuovo modello di sviluppo e la green economy entra in
gioco non in quanto soluzione semplice per trovare il mezzo del
rilancio della produttività monetaria ma soprattutto come soluzione
complessa in grado di conciliare la produttività monetaria con la
conservazione e la rigenerazione della produttività della Terra.
E per questo entra in gioco per noi la bicicletta in un senso positivo e complesso.
In questo modello lo zero ha un valore assolutamente negativo ed è utilizzato soltanto in chiave economica. Zero profitti significa fallimento, zero consumi significa stagnazione, zero uso di risorse e zero produzione di rifiuti significa cessazione di investimenti economici.
Ora sono proprio i due vertici alla base ad essere entrati in crisi trasformandosi in problemi fondamentali.
Lo zero da valore negativo deve inevitabilmente trasformarsi in valore positivo.
Il benessere crescente, la disponibilità di migliori condizioni di vita per tutti, la salute fisica e spirituale singolare e collettiva, passa attraverso questa strada: zero sprechi di energia e di risorse, zero produzione di rifiuti (nell’aria e nel suolo), zero inquinamento, zero depauperimento del suolo, ecc.
Fare dello zero un valore positivo nei nostri stili di vita, nei nostri sistemi di consumi, nelle nostre pratiche individuali e nei nostri comportamenti collettivi, ma anche delle politiche economiche e sociali di chi ci governa, diventa una priorità se vogliamo mantenere in equilibrio positivo il sistema delle condizioni di vita su cui si regge il nostro pianeta.
Vi sono tre modi per poter affrontare la crisi attraverso l’adozione di pratiche che si riferiscono ad un modello di sviluppo sostenibile:
Usando l’immagine della bicicletta:
Le prime due soluzioni sono destinate al fallimento: far affidamento sui comportamenti virtuosi che contemplino una “felice rinuncia” di massa è pura utopia, sperare che le soluzioni ambientali siano al primo posto delle scelte politiche è assurdo se la politica deve misurarsi, nei sistemi democratici, con il consenso e con l’approvazione del voto a scadenze ravvicinate.
Non resta che la terza soluzione in cui entra in gioco la Green Economy, opportunamente intesa.
Una Green Economy che deve avere il compito di mostrare come le soluzioni innovative e ambientali possano conservare e incrementare la qualità della vita, ai livelli di benessere e alle condizioni in cui la nostra civiltà è arrivata, cioè mantenendo la nostra elevata mobilità delle persone elevata come quella di oggi se non migliore (eliminando il traffico e l’inquinamento), il nostro sistema di comunicazioni, il nostro stesso livello di condivisione, moltiplicazione e accrescimento collettivo del sapere attraverso la rete, il nostro ricorso ormai irrinunciabile a strumenti tecnologici avanzati ma energivori: elementi che in un’ottica nuova possono diventare fattori di sostenibilità a tutti e tre i suoi livelli:
Sostenibilità sociale
Equità e giustizia sociale, partecipazione alle scelte per gestire razionalmente le risorse
Sostenibilità economica
Conservazione del capitale artificiale-manufatto, del capitale sociale umano, del capitale naturale
Sostenibilità ecologica
Dosaggio dei prelievi di risorse e dell’immissione di rifiuti nell’ambiente in modo di permetterne la rigenerazione
Ma per far questo, per favorire l’avvento di una reale Green Economy, occorre che siano attivate strategie opportune a tutti e tre i livelli che abbiamo indicato:
il mondo politico
la ricerca scientifico- tecnologia
l’iniziativa individuale del singolo
La Road Map dell’Unione Europea, che riguarda la riduzione delle emissioni di CO2e che si prefigge la diminuzione dell’80% dell’emissione dei gas serra, mantenendo o migliorando i livelli odierni di affidabilità fornitura di energia elettrica , la sicurezza energetica la crescita economica e la prosperità, va in questa direzione.
L’iniziativa e l’impegno quotidiano del singolo, contrariamente all’opinione dominante (ma che cosa possiamo farci noi... sono loro che comandano... sono loro che devono prendere decisioni... fanno tanti summit sul clima ma poi le cose non cambiano mai... è sempre il denaro che conta...) può giocare un ruolo fondamentale.
Se il mondo politico si fonda sul consenso la diffusione del sapere e della conoscenza sia delle problematiche ambientali sia delle possibili soluzioni, può condizionare il voto.
Come consumatori possiamo indirizzare i nostri acquisti condizionando il mercato e l’offerta sul mercato da parte di aziende che, per incrementare i propri profitti, investono nella produzione di prodotti ecocompatibili.
Come cittadini responsabili, possiamo adottare comportamenti ecocompatibili, diffondere conoscenze ed esempi e far pressione sui nostri amministratori locali (anche questa è Green Economy).
Ecco il motivo per cui presentiamo il nostro progetto per una ciclovia nel Monferrato, come esempio concreto di Green Economy nel nostro territorio a tutte i livelli:
sul piano politico, sarebbe un segnale importante di un’azione amministrativa a largo raggio e che coinvolge tanti soggetti diversi (comuni, province, Regione, enti pubblici), finalizzata a investire su un’opera innovativa: si passa dall’asfaltare le strade, o rotonde di traffico o megacirconvallazioni alla riconversione di un’arteria importante e dal valore storico che sta per degradarsi e trasformarsi in rovina abbandonata, in un’opera moderna che favorisce una mobilità alternativa)
sul piano scientifico-tecnologico: si contribuisce a dare un impulso notevole anche in Italia a industrie che investono in materiali “Green” ma che stentano da noi ad avere aiuti dal mercato rimanendo di nicchia o limitandosi alla ricerca (pavimentazione per coprire rotaie composte con riciclo o nuovi materiali “green”); promozione e diffusione di biciclette di nuova generazione ad alta tecnologia
sul piano individuale e singolare, si darebbe una grande opportunità al territorio di produrre valore e profitto economico riducendo il proprio impatto ambientale (mobilità ad impatto zero, turismo dolce e sostenibile, rilancio dei settori economici in crisi dell’enogastronomia tipica e della ricezione turistica collinare), ma soprattutto si offrirebbe a molte persone l’opportunità di un ritorno ad usufruire e godere in maniere sostenibile delle opportunità che offre il territorio.
E per questo entra in gioco per noi la bicicletta in un senso positivo e complesso.
In questo modello lo zero ha un valore assolutamente negativo ed è utilizzato soltanto in chiave economica. Zero profitti significa fallimento, zero consumi significa stagnazione, zero uso di risorse e zero produzione di rifiuti significa cessazione di investimenti economici.
Ora sono proprio i due vertici alla base ad essere entrati in crisi trasformandosi in problemi fondamentali.
Lo zero da valore negativo deve inevitabilmente trasformarsi in valore positivo.
Il benessere crescente, la disponibilità di migliori condizioni di vita per tutti, la salute fisica e spirituale singolare e collettiva, passa attraverso questa strada: zero sprechi di energia e di risorse, zero produzione di rifiuti (nell’aria e nel suolo), zero inquinamento, zero depauperimento del suolo, ecc.
Fare dello zero un valore positivo nei nostri stili di vita, nei nostri sistemi di consumi, nelle nostre pratiche individuali e nei nostri comportamenti collettivi, ma anche delle politiche economiche e sociali di chi ci governa, diventa una priorità se vogliamo mantenere in equilibrio positivo il sistema delle condizioni di vita su cui si regge il nostro pianeta.
Vi sono tre modi per poter affrontare la crisi attraverso l’adozione di pratiche che si riferiscono ad un modello di sviluppo sostenibile:
- far leva
sulla virtù degli individui, felicemente convinti di dover
rinunciare allo stile di vita su cui finora hanno prosperato.
- attraverso
la coercizione di strumenti di legge che vietino comportamenti
ritenuti dannosi e controproducenti.
- investendo
in conoscenza e in soluzioni che conservino o aumentino la qualità
della vita delle persone, non costrette a rinunciare al proprio
benessere e alle proprie abitudini, e che contemporaneamente
conservano, rispettano e favoriscono la produttività della Terra.
Usando l’immagine della bicicletta:
- nel primo
caso avviene il miracolo auspicato dalla “decrescita felice” e le
persone convinte che una vita sobria in bicicletta sia più salutare
per loro e per l’ambiente, lasciano spontaneamente l’auto nei
loro garage
- nel secondo
caso, le autorità politiche, locali, nazionali, trans nazionali,
iniziano a vietare progressivamente la circolazione delle auto, o ne
rendano la produzione o l’acquisto svantaggiosi e impongono l’uso
della bicicletta
- nel terzo
caso la tecnologia, la ricerca scientifica e l’industria, favorita
sia dagli investimenti di singoli accorti e oculati sia dai
dispositivi e indirizzi politici, investe per trovare soluzioni
efficaci ad una mobilità rispettosa dell’ambiente, rendendola
vantaggiosa e ampliando la qualità della vita: reti di ciclovie ad
alta progettazione con uso ad esempio di materiali riciclati per il
fondo stradale l’uso (pneumatici riciclati è una soluzione già
attualmente disponibile), una circolazione urbana ripensata, che
combini trasporti pubblici, treno, bus e bicicletta, biciclette ad
alta tecnologia (con pedalata assistita, elettriche...).
Le prime due soluzioni sono destinate al fallimento: far affidamento sui comportamenti virtuosi che contemplino una “felice rinuncia” di massa è pura utopia, sperare che le soluzioni ambientali siano al primo posto delle scelte politiche è assurdo se la politica deve misurarsi, nei sistemi democratici, con il consenso e con l’approvazione del voto a scadenze ravvicinate.
Non resta che la terza soluzione in cui entra in gioco la Green Economy, opportunamente intesa.
Una Green Economy che deve avere il compito di mostrare come le soluzioni innovative e ambientali possano conservare e incrementare la qualità della vita, ai livelli di benessere e alle condizioni in cui la nostra civiltà è arrivata, cioè mantenendo la nostra elevata mobilità delle persone elevata come quella di oggi se non migliore (eliminando il traffico e l’inquinamento), il nostro sistema di comunicazioni, il nostro stesso livello di condivisione, moltiplicazione e accrescimento collettivo del sapere attraverso la rete, il nostro ricorso ormai irrinunciabile a strumenti tecnologici avanzati ma energivori: elementi che in un’ottica nuova possono diventare fattori di sostenibilità a tutti e tre i suoi livelli:
Sostenibilità sociale
Equità e giustizia sociale, partecipazione alle scelte per gestire razionalmente le risorse
Sostenibilità economica
Conservazione del capitale artificiale-manufatto, del capitale sociale umano, del capitale naturale
Sostenibilità ecologica
Dosaggio dei prelievi di risorse e dell’immissione di rifiuti nell’ambiente in modo di permetterne la rigenerazione
Ma per far questo, per favorire l’avvento di una reale Green Economy, occorre che siano attivate strategie opportune a tutti e tre i livelli che abbiamo indicato:
il mondo politico
la ricerca scientifico- tecnologia
l’iniziativa individuale del singolo
La Road Map dell’Unione Europea, che riguarda la riduzione delle emissioni di CO2e che si prefigge la diminuzione dell’80% dell’emissione dei gas serra, mantenendo o migliorando i livelli odierni di affidabilità fornitura di energia elettrica , la sicurezza energetica la crescita economica e la prosperità, va in questa direzione.
L’iniziativa e l’impegno quotidiano del singolo, contrariamente all’opinione dominante (ma che cosa possiamo farci noi... sono loro che comandano... sono loro che devono prendere decisioni... fanno tanti summit sul clima ma poi le cose non cambiano mai... è sempre il denaro che conta...) può giocare un ruolo fondamentale.
Se il mondo politico si fonda sul consenso la diffusione del sapere e della conoscenza sia delle problematiche ambientali sia delle possibili soluzioni, può condizionare il voto.
Come consumatori possiamo indirizzare i nostri acquisti condizionando il mercato e l’offerta sul mercato da parte di aziende che, per incrementare i propri profitti, investono nella produzione di prodotti ecocompatibili.
Come cittadini responsabili, possiamo adottare comportamenti ecocompatibili, diffondere conoscenze ed esempi e far pressione sui nostri amministratori locali (anche questa è Green Economy).
Ecco il motivo per cui presentiamo il nostro progetto per una ciclovia nel Monferrato, come esempio concreto di Green Economy nel nostro territorio a tutte i livelli:
sul piano politico, sarebbe un segnale importante di un’azione amministrativa a largo raggio e che coinvolge tanti soggetti diversi (comuni, province, Regione, enti pubblici), finalizzata a investire su un’opera innovativa: si passa dall’asfaltare le strade, o rotonde di traffico o megacirconvallazioni alla riconversione di un’arteria importante e dal valore storico che sta per degradarsi e trasformarsi in rovina abbandonata, in un’opera moderna che favorisce una mobilità alternativa)
sul piano scientifico-tecnologico: si contribuisce a dare un impulso notevole anche in Italia a industrie che investono in materiali “Green” ma che stentano da noi ad avere aiuti dal mercato rimanendo di nicchia o limitandosi alla ricerca (pavimentazione per coprire rotaie composte con riciclo o nuovi materiali “green”); promozione e diffusione di biciclette di nuova generazione ad alta tecnologia
sul piano individuale e singolare, si darebbe una grande opportunità al territorio di produrre valore e profitto economico riducendo il proprio impatto ambientale (mobilità ad impatto zero, turismo dolce e sostenibile, rilancio dei settori economici in crisi dell’enogastronomia tipica e della ricezione turistica collinare), ma soprattutto si offrirebbe a molte persone l’opportunità di un ritorno ad usufruire e godere in maniere sostenibile delle opportunità che offre il territorio.
Fare
la propria parte: facciamo economia (green)
Accanto alle iniziative dei governi e degli attori politici internazionali, il nuovo modello di sviluppo passa, dunque, attraverso anche e soprattutto l’adozione di comportamenti individuali dei singoli.
Il primo importante fattore è la conoscenza: conoscere in maniera approfondita quelli che sono i problemi che generano le emergenze ambientali ed economiche del presente e del futuro è il primo passo indispensabile per diffondere la coscienza della necessità di un cambiamento. Il resto ne consegue: ripensare e rimodellare i propri stili di vita, strategie di consumo consapevole con la finalità di ridurre la propria impronta ecologica.
Su queste motivazioni si fonda il lavoro del nostro laboratorio: cercare di diffondere la conoscenza indirizzandoci principalmente ai più piccoli, ai bambini, perchè è fondamentale, come afferma Rabhi, non solo domandarci che mondo lasceremo ai nostri bambini ma anche che bambini lasceremo al pianeta.
La conoscenza delle problematiche ambientali, legate al divario di sviluppo nord sud del mondo; all’energia, alle fonti fossili e rinnovabili e agli sprechi; all’acqua come bene comune; agli sprechi alimentari, ruotano attorno al tema principale dell’impronta ecologica che ognuno di noi lascia sul pianeta.
Per queste ragioni abbiamo cercato di trasformare queste informazioni in forme comunicative adatte ai bambini (con giochi e animazioni) per iniziare fin da subito e fin dai più piccoli a sensibilizzare su questioni decisive per favorire un mutamento verso un sistema di vita ecosostenibile.
Ad esempio la nostra storia del leone e della gazzella, così come quelle delle due fattorie, cerca di spiegare ai bambini come sia impossibile perchè contradditorio fondare il nostro benessere sull’uso sconsiderato delle risorse del pianeta, i giochi sull’impronta ecologica del consumo di un pomodoro in stagioni diverse, il viaggio dello zaino attraverso i mesi, mira a spiegare in termini semplici l’overshoot day, i concetti di impronta ecologica degli stili di vita e dello “zaino” ecologico presente nei prodotti dei nostri consumi.
Accanto alle iniziative dei governi e degli attori politici internazionali, il nuovo modello di sviluppo passa, dunque, attraverso anche e soprattutto l’adozione di comportamenti individuali dei singoli.
Il primo importante fattore è la conoscenza: conoscere in maniera approfondita quelli che sono i problemi che generano le emergenze ambientali ed economiche del presente e del futuro è il primo passo indispensabile per diffondere la coscienza della necessità di un cambiamento. Il resto ne consegue: ripensare e rimodellare i propri stili di vita, strategie di consumo consapevole con la finalità di ridurre la propria impronta ecologica.
Su queste motivazioni si fonda il lavoro del nostro laboratorio: cercare di diffondere la conoscenza indirizzandoci principalmente ai più piccoli, ai bambini, perchè è fondamentale, come afferma Rabhi, non solo domandarci che mondo lasceremo ai nostri bambini ma anche che bambini lasceremo al pianeta.
La conoscenza delle problematiche ambientali, legate al divario di sviluppo nord sud del mondo; all’energia, alle fonti fossili e rinnovabili e agli sprechi; all’acqua come bene comune; agli sprechi alimentari, ruotano attorno al tema principale dell’impronta ecologica che ognuno di noi lascia sul pianeta.
Per queste ragioni abbiamo cercato di trasformare queste informazioni in forme comunicative adatte ai bambini (con giochi e animazioni) per iniziare fin da subito e fin dai più piccoli a sensibilizzare su questioni decisive per favorire un mutamento verso un sistema di vita ecosostenibile.
Ad esempio la nostra storia del leone e della gazzella, così come quelle delle due fattorie, cerca di spiegare ai bambini come sia impossibile perchè contradditorio fondare il nostro benessere sull’uso sconsiderato delle risorse del pianeta, i giochi sull’impronta ecologica del consumo di un pomodoro in stagioni diverse, il viaggio dello zaino attraverso i mesi, mira a spiegare in termini semplici l’overshoot day, i concetti di impronta ecologica degli stili di vita e dello “zaino” ecologico presente nei prodotti dei nostri consumi.
Impatto
ambientale - Impronta ecologica: fare la nostra parte
L’impronta ecologica è un indicatore che mette in relazione gli stili di vita di una popolazione con la quantità di natura necessaria per sostenerli. Più precisamente stabilisce l’area (espressa in ettari pro capite) di superficie naturale produttiva (campi, foreste, risorse sottosuolo, mare, ...) necessaria ad ogni individuo per sostenerne i consumi, di materie prime ed energia, e per assorbirne i rifiuti.
Ogni nostra azione individuale, in questo modello di calcolo, corrisponde ad un piccolo consumo di territorio. Seguendo calcoli che tengano conto di questi fattori, possiamo renderci conto di quanto capitale naturale serve per la sostenibilità dei nostri sistemi economici e sociali.
Possiamo paragonare l’umanità che vive sul nostro pianeta a dei cittadini di una città sotto una cupola di vetro emisferica trasparente che faccia passare luce ma non permetta il passaggio di cose materiali. Per poter continuare a vivere all’interno della cupola, i cittadini hanno bisogno di una quantità di terreno (zone agricole, foreste, fiumi ecc.) che dia le risorse necessarie e che assorba gli scarti prodotti.
Per calcolare l’impronta ecologica si tiene conto di alcuni fattori:
9 categorie di territorio:
a) terreno utilizzato per la produzione di energia o l’assorbimento di CO2
b) ambiente edificato
c) orti e serre
d) terreni arabili
e) terreni a pascolo
f) foreste gestite
g) foreste vergini
h) aree non produttive
i) superficie marina
5 categorie di consumo:
1) alimenti
2) abitazioni
3) trasporti
4) beni di consumo
5) servizi
L’impronta ecologica non coincide con un territorio definito.
Gli usi della natura, per lo spazio di cui necessitano, vengono sommati per calcolare l’impronta ecologica totale di un territorio. Le principali categorie di aree ecologicamente produttive prese in considerazione sono: terreni agricoli, pascolo, foresta, aree marine, aree edificate e aree necessarie ad assorbire la CO2 relativa all’uso dell’energia derivata da combustibili fossili, e possono essere confrontate con le capacità biologiche disponibili nel territorio di riferimento.
Il nostro coinvolgimento personale nell’impronta ecologica è immediato e diretto ad ogni livello che noi consideriamo:
Il Living Planet Report del WWF è l'analisi dello stato di salute del pianeta, e viene pubblicato dal 1998 ogni 2 anni. Dal 2000 il rapporto ha affiancato all’indice del Pianeta Vivente (lo stato della ricchezza e della biodiversità del Pianeta) l’indice dell’impronta ecologica, che misura la domanda dell’umanità sulla biosfera in termini di superficie di terra e mare produttiva.
Con il rapporto 2008 si aggiunge un terzo indicatore, quello dell'Impronta idrica, costituita dal volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre beni e servizi.
L’impronta ecologica è un indicatore che mette in relazione gli stili di vita di una popolazione con la quantità di natura necessaria per sostenerli. Più precisamente stabilisce l’area (espressa in ettari pro capite) di superficie naturale produttiva (campi, foreste, risorse sottosuolo, mare, ...) necessaria ad ogni individuo per sostenerne i consumi, di materie prime ed energia, e per assorbirne i rifiuti.
Ogni nostra azione individuale, in questo modello di calcolo, corrisponde ad un piccolo consumo di territorio. Seguendo calcoli che tengano conto di questi fattori, possiamo renderci conto di quanto capitale naturale serve per la sostenibilità dei nostri sistemi economici e sociali.
Possiamo paragonare l’umanità che vive sul nostro pianeta a dei cittadini di una città sotto una cupola di vetro emisferica trasparente che faccia passare luce ma non permetta il passaggio di cose materiali. Per poter continuare a vivere all’interno della cupola, i cittadini hanno bisogno di una quantità di terreno (zone agricole, foreste, fiumi ecc.) che dia le risorse necessarie e che assorba gli scarti prodotti.
Per calcolare l’impronta ecologica si tiene conto di alcuni fattori:
9 categorie di territorio:
a) terreno utilizzato per la produzione di energia o l’assorbimento di CO2
b) ambiente edificato
c) orti e serre
d) terreni arabili
e) terreni a pascolo
f) foreste gestite
g) foreste vergini
h) aree non produttive
i) superficie marina
5 categorie di consumo:
1) alimenti
2) abitazioni
3) trasporti
4) beni di consumo
5) servizi
L’impronta ecologica non coincide con un territorio definito.
Gli usi della natura, per lo spazio di cui necessitano, vengono sommati per calcolare l’impronta ecologica totale di un territorio. Le principali categorie di aree ecologicamente produttive prese in considerazione sono: terreni agricoli, pascolo, foresta, aree marine, aree edificate e aree necessarie ad assorbire la CO2 relativa all’uso dell’energia derivata da combustibili fossili, e possono essere confrontate con le capacità biologiche disponibili nel territorio di riferimento.
Il nostro coinvolgimento personale nell’impronta ecologica è immediato e diretto ad ogni livello che noi consideriamo:
- Sul piano
politico, quando favoriamo o non favoriamo politiche mirate a
strategie per ridurre l’impronta collettiva del paese in cui
viviamo.
- Sul piano
scientifico e tecnologico, se non favoriamo la diffusione del sapere
e della conoscenza, presupposti necessari al cambiamento, se non
condizioniamo attraverso la partecipazione diretta o indiretta alle
scelte economiche e scientifiche.
- Sul piano
singolare e individuale, nei nostri stili di vita, nei nostri
comportamenti e nei nostri comuni quotidiani.
Il Living Planet Report del WWF è l'analisi dello stato di salute del pianeta, e viene pubblicato dal 1998 ogni 2 anni. Dal 2000 il rapporto ha affiancato all’indice del Pianeta Vivente (lo stato della ricchezza e della biodiversità del Pianeta) l’indice dell’impronta ecologica, che misura la domanda dell’umanità sulla biosfera in termini di superficie di terra e mare produttiva.
Con il rapporto 2008 si aggiunge un terzo indicatore, quello dell'Impronta idrica, costituita dal volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre beni e servizi.
L'impronta
ecologica viene espressa in ettari globali.
Per poter essere confrontabili tra loro, le impronte vanno trasformate in "unità equivalenti" o "ettari globali" (global hectar, gha) moltiplicandole per un fattore di equivalenza.
Un gha rappresenta un ettaro di spazio produttivo con produttività pari a quella media mondiale calcolata per le terre e le acque biologicamente produttive.
Poiché differenti tipologie di terreno hanno differente produttività, un gha di terreno coltivato occuperà una superficie fisica minore di quella occupata da un gha di pascolo che ha una minor produttività biologica.
E' da notare che il valore del gha non è costante ma varia, seppur di poco, di anno in anno, in conseguenza della variazione annuale della bio-produttività mondiale.
Alcuni esempi su base annuale:
1 kg di pane richiede 9,7 m2
1 kg di carne bovina richiede 140 m2
1 kg di vegetali richiedono 2,6 m2
Se utilizziamo anche in questo caso, la bicicletta come esempio emblematico:
L’energia necessaria per percorrere 5 km ogni giorno lavorativo comportano la necessità di
- 122 m2 se percorsi in bicicletta
- 303 m2 se percorsi in autobus
- 1530 m2 se si usa l’automobile
In uno scenario di bassa crescita demografica (9 miliardi al 2050) che mantiene gli andamenti attuali per le emissioni di CO2 nonché per la crescita dei consumi e della bioproduttività, si prevede che nel 2050 verranno utilizzate risorse corrispondenti alla capacità di 2,3 pianeti
Ne consegue che, alla stessa data (2050), continuando e incrementando il sovrasfruttamento della Terra, cioè la spesa di capitale naturale ad una velocità maggiore della sua rigenerazione, si accumulerebbe un debito ecologico pari a 40 pianeti.
Per poter essere confrontabili tra loro, le impronte vanno trasformate in "unità equivalenti" o "ettari globali" (global hectar, gha) moltiplicandole per un fattore di equivalenza.
Un gha rappresenta un ettaro di spazio produttivo con produttività pari a quella media mondiale calcolata per le terre e le acque biologicamente produttive.
Poiché differenti tipologie di terreno hanno differente produttività, un gha di terreno coltivato occuperà una superficie fisica minore di quella occupata da un gha di pascolo che ha una minor produttività biologica.
E' da notare che il valore del gha non è costante ma varia, seppur di poco, di anno in anno, in conseguenza della variazione annuale della bio-produttività mondiale.
Alcuni esempi su base annuale:
1 kg di pane richiede 9,7 m2
1 kg di carne bovina richiede 140 m2
1 kg di vegetali richiedono 2,6 m2
Se utilizziamo anche in questo caso, la bicicletta come esempio emblematico:
L’energia necessaria per percorrere 5 km ogni giorno lavorativo comportano la necessità di
- 122 m2 se percorsi in bicicletta
- 303 m2 se percorsi in autobus
- 1530 m2 se si usa l’automobile
In uno scenario di bassa crescita demografica (9 miliardi al 2050) che mantiene gli andamenti attuali per le emissioni di CO2 nonché per la crescita dei consumi e della bioproduttività, si prevede che nel 2050 verranno utilizzate risorse corrispondenti alla capacità di 2,3 pianeti
Ne consegue che, alla stessa data (2050), continuando e incrementando il sovrasfruttamento della Terra, cioè la spesa di capitale naturale ad una velocità maggiore della sua rigenerazione, si accumulerebbe un debito ecologico pari a 40 pianeti.
Aumentando
la produttività ecologica: terrazzamenti, riciclaggio, regimi di
gestione più attenti (es. produzione biologica, locale, finanza
etica…)
- migliorando l’efficienza dell’utilizzo delle risorse (uso razionale di energia, acqua, …)
- Riducendo i consumi o indirizzando i nostri consumi verso prodotti a più bassa impronta ecologica.
L’ultimo punto non è soltanto quello che ci chiama direttamente in causa ma è quello che ci chiama in causa quotidianamente e per più volte al giorno.
Ma come facciamo a conoscere la “quantità di pianeta”, vale a dire l’impronta ecologica dei prodotti che consumiamo?
Anche in questo caso entra in gioco la conoscenza. In particolare di strumenti e metodi quali quelli dello zaino ecologico che nel nostro laboratorio illustriamo ai bambini “giocando” con il racconto della produzione di un pomodoro in estate o in serra di inverno.
- migliorando l’efficienza dell’utilizzo delle risorse (uso razionale di energia, acqua, …)
- Riducendo i consumi o indirizzando i nostri consumi verso prodotti a più bassa impronta ecologica.
L’ultimo punto non è soltanto quello che ci chiama direttamente in causa ma è quello che ci chiama in causa quotidianamente e per più volte al giorno.
Ma come facciamo a conoscere la “quantità di pianeta”, vale a dire l’impronta ecologica dei prodotti che consumiamo?
Anche in questo caso entra in gioco la conoscenza. In particolare di strumenti e metodi quali quelli dello zaino ecologico che nel nostro laboratorio illustriamo ai bambini “giocando” con il racconto della produzione di un pomodoro in estate o in serra di inverno.
È un metodo
messo a punto dai ricercatori tedeschi del Wuppertal
Institut guidati dal chimico
ed economista Schmidt-Bleek.
Con questo sistema noi possiamo calcolare il carico di natura che ogni prodotto o servizio si porta sulle spalle in un invisibile zaino.
E' cioè il peso dei materiali che abbiamo prelevato dalla natura per realizzare un prodotto o un servizio, meno il peso del prodotto stesso. Lo zaino ecologico viene espresso sia in kg di natura / kg di prodotto sia in kg di natura / unità di prodotto. Inoltre, lo zaino ecologico di un oggetto include tutte le risorse utilizzate per la
produzione, il trasporto tra le fabbriche e dalla fabbrica al consumatore. Comprende, poi, anche il materiale e l'energia utilizzata dall’esercizio commerciale per venderlo, l'energia e materiali necessari per utilizzare il
prodotto stesso (elettricità o carburante, per esempio) e, infine, tutto ciò che è richiesto per il suo disassemblaggio, riciclo e smaltimento.
Per esempio: automobile media (1 tonnellata) 25 tonnellate,
motocicletta (190 kg) 3 tonnellate,
marmitta catalitica 3 tonnellate,
computer da tavolo (15 kg) 15 tonnellate,
anello d'oro (es. fede da 5 grammi) 3 tonnellate,
carta 15 kg/kg,
plastiche 2-9 kg/kg (es. PE 4,6 kg/kg, PVC 8,8 kg/kg),
succo d'arancia confezionato 25 kg/kg.
In generale più un prodotto industriale è prezioso o elaborato e maggiore è il suo zaino ecologico.
Correlati ai calcoli sullo zaino ecologico vi sono quelle relativi al
MIPS (Material Intensity Per Service, Intensità di materiali Per Servizio)
e al
MAIA - Material Intensity Analysis (Analisi dell'intensità di materiali)
Il MIPS è la quantità totale di natura impiegata per realizzare un prodotto, espressa in chilogrammi. Il MIPS è cioè la somma del peso del prodotto e del suo zaino ecologico. Secondo Schmidt-Bleek il MIPS dovrebbe diventare un'unità internazionale di valore ecologico, da affiancare al prezzo di ogni prodotto o - meglio ancora - di ogni servizio. I MIPS indicano quanta natura un prodotto o un servizio sono costati, cioè il loro prezzo ambientale.
Il MAIA - Material Intensity Analysis (Analisi dell'intensità di materiali) è un metodo per progettare prodotti e soprattutto servizi in modo da impiegare la più bassa intensità possibile di materiali per ogni unità di servizio desiderata.
E' importante sottolineare che, per essere davvero utile, lo zaino ecologico e l'intensità di materiali dovrebbero riferirsi più ai servizi che non agli oggetti. Per esempio, un'automobile da una tonnellata ha oggi uno zaino ecologico di 25 tonnellate. Ma potremmo anche dire che la produzione di un'automobile media (1000 kg) che percorre nella sua vita 200.000 km ha uno zaino ecologico (25 tonnellate) di 125 grammi per ogni km. Se però riusciamo a farle percorrere 400.000 km, allora lo zaino per km si dimezza a 63 grammi. Allo zaino ecologico della produzione va inoltre aggiunto lo zaino dell'uso durante tutta la sua vita, dovuto in parte al carburante (16.000 litri per 200.000 km) e in parte alla manutenzione e ai ricambi. Le automobili medie di oggi creano circa metà del loro carico ambientale durante la loro produzione e metà durante il loro uso. Quindi la convenienza ecologica di rottamare un'automobile, dunque, per sostituirla con una nuova è tanto minore quanti più chilometri la vecchia automobile avrebbe ancora potuto percorrere. Se la vecchia automobile viene rottamata a metà della sua vita potenziale, l'automobile che la sostituisce dovrebbe quindi consumare meno della metà e durare più del doppio per essere vantaggiosa ecologicamente. Lo stesso vale per qualunque prodotto industriale. Le lampadine compatte a fluorescenza per esempio hanno un peso, un costo e uno zaino ecologico maggiori delle lampadine a incandescenza. Siccome però consumano 4 volte meno elettricità e durano molto di più, la loro sostituzione conviene anche ecologicamente. Per un automobile o un frigorifero è però difficile che il nuovo modello più efficiente consumi la metà o un quarto del modello da rottamare. Così, tranne in casi di grande inefficienza, può essere ecologicamente più sensato cercare di prolungare l'uso e la vita degli oggetti già esistenti piuttosto che sostituirli con dei nuovi.
Coerentemente con questi indicatori, è chiaro che incentivare l’uso della bicicletta, anche a fronte di investimenti massicci, sia a livello pubblico per favorirne la mobilità dolce e renderne conveniente l’utilizzo in termini di risparmi economici e di tempo, sia dal punto di vista della ricerca tecnologica di modelli e materiali innovativi, è di gran lunga l’azione più sostenibile che potremmo promuovere.
La produzione di una bicicletta (anche con materiali sofisticati e con tecnologie all’avanguardia), l’energia e i “combustibili” usati per utilizzarla, la sua durata media, la sua manutenzione e l’eventuale riparazione, il consumo di spazio, il tasso di emissioni di inquinamento, la promozione della salute dell’individuo che la usa, il rispetto dell’ambiente che promuove, la socializzazione e la condivisione di esperienze, amicizie e tempo che essa favorisce, le esigenze pressoché minimi di servizi di cui il suo utilizzo necessita, il suo ideale inserimento all’interno di ogni forma di circuito urbano, sono incomparabilmente più vantaggiosi in termini economici, politici e sociali rispetto ad ogni altra forma di mobilità.
Con questo sistema noi possiamo calcolare il carico di natura che ogni prodotto o servizio si porta sulle spalle in un invisibile zaino.
E' cioè il peso dei materiali che abbiamo prelevato dalla natura per realizzare un prodotto o un servizio, meno il peso del prodotto stesso. Lo zaino ecologico viene espresso sia in kg di natura / kg di prodotto sia in kg di natura / unità di prodotto. Inoltre, lo zaino ecologico di un oggetto include tutte le risorse utilizzate per la
produzione, il trasporto tra le fabbriche e dalla fabbrica al consumatore. Comprende, poi, anche il materiale e l'energia utilizzata dall’esercizio commerciale per venderlo, l'energia e materiali necessari per utilizzare il
prodotto stesso (elettricità o carburante, per esempio) e, infine, tutto ciò che è richiesto per il suo disassemblaggio, riciclo e smaltimento.
Per esempio: automobile media (1 tonnellata) 25 tonnellate,
motocicletta (190 kg) 3 tonnellate,
marmitta catalitica 3 tonnellate,
computer da tavolo (15 kg) 15 tonnellate,
anello d'oro (es. fede da 5 grammi) 3 tonnellate,
carta 15 kg/kg,
plastiche 2-9 kg/kg (es. PE 4,6 kg/kg, PVC 8,8 kg/kg),
succo d'arancia confezionato 25 kg/kg.
In generale più un prodotto industriale è prezioso o elaborato e maggiore è il suo zaino ecologico.
Correlati ai calcoli sullo zaino ecologico vi sono quelle relativi al
MIPS (Material Intensity Per Service, Intensità di materiali Per Servizio)
e al
MAIA - Material Intensity Analysis (Analisi dell'intensità di materiali)
Il MIPS è la quantità totale di natura impiegata per realizzare un prodotto, espressa in chilogrammi. Il MIPS è cioè la somma del peso del prodotto e del suo zaino ecologico. Secondo Schmidt-Bleek il MIPS dovrebbe diventare un'unità internazionale di valore ecologico, da affiancare al prezzo di ogni prodotto o - meglio ancora - di ogni servizio. I MIPS indicano quanta natura un prodotto o un servizio sono costati, cioè il loro prezzo ambientale.
Il MAIA - Material Intensity Analysis (Analisi dell'intensità di materiali) è un metodo per progettare prodotti e soprattutto servizi in modo da impiegare la più bassa intensità possibile di materiali per ogni unità di servizio desiderata.
E' importante sottolineare che, per essere davvero utile, lo zaino ecologico e l'intensità di materiali dovrebbero riferirsi più ai servizi che non agli oggetti. Per esempio, un'automobile da una tonnellata ha oggi uno zaino ecologico di 25 tonnellate. Ma potremmo anche dire che la produzione di un'automobile media (1000 kg) che percorre nella sua vita 200.000 km ha uno zaino ecologico (25 tonnellate) di 125 grammi per ogni km. Se però riusciamo a farle percorrere 400.000 km, allora lo zaino per km si dimezza a 63 grammi. Allo zaino ecologico della produzione va inoltre aggiunto lo zaino dell'uso durante tutta la sua vita, dovuto in parte al carburante (16.000 litri per 200.000 km) e in parte alla manutenzione e ai ricambi. Le automobili medie di oggi creano circa metà del loro carico ambientale durante la loro produzione e metà durante il loro uso. Quindi la convenienza ecologica di rottamare un'automobile, dunque, per sostituirla con una nuova è tanto minore quanti più chilometri la vecchia automobile avrebbe ancora potuto percorrere. Se la vecchia automobile viene rottamata a metà della sua vita potenziale, l'automobile che la sostituisce dovrebbe quindi consumare meno della metà e durare più del doppio per essere vantaggiosa ecologicamente. Lo stesso vale per qualunque prodotto industriale. Le lampadine compatte a fluorescenza per esempio hanno un peso, un costo e uno zaino ecologico maggiori delle lampadine a incandescenza. Siccome però consumano 4 volte meno elettricità e durano molto di più, la loro sostituzione conviene anche ecologicamente. Per un automobile o un frigorifero è però difficile che il nuovo modello più efficiente consumi la metà o un quarto del modello da rottamare. Così, tranne in casi di grande inefficienza, può essere ecologicamente più sensato cercare di prolungare l'uso e la vita degli oggetti già esistenti piuttosto che sostituirli con dei nuovi.
Coerentemente con questi indicatori, è chiaro che incentivare l’uso della bicicletta, anche a fronte di investimenti massicci, sia a livello pubblico per favorirne la mobilità dolce e renderne conveniente l’utilizzo in termini di risparmi economici e di tempo, sia dal punto di vista della ricerca tecnologica di modelli e materiali innovativi, è di gran lunga l’azione più sostenibile che potremmo promuovere.
La produzione di una bicicletta (anche con materiali sofisticati e con tecnologie all’avanguardia), l’energia e i “combustibili” usati per utilizzarla, la sua durata media, la sua manutenzione e l’eventuale riparazione, il consumo di spazio, il tasso di emissioni di inquinamento, la promozione della salute dell’individuo che la usa, il rispetto dell’ambiente che promuove, la socializzazione e la condivisione di esperienze, amicizie e tempo che essa favorisce, le esigenze pressoché minimi di servizi di cui il suo utilizzo necessita, il suo ideale inserimento all’interno di ogni forma di circuito urbano, sono incomparabilmente più vantaggiosi in termini economici, politici e sociali rispetto ad ogni altra forma di mobilità.